CHEF E RICETTE
Antonio Di Maggio
Fare cucina, per Antonio Di Maggio, significa restituire a chi assaggia i suoi piatti un’esperienza sensoriale a 360°
Superata la vecchia concezione della cucina, secondo Antonio Di Maggio un cuoco moderno deve essere completo, pronto a tutto, dall’antipasto fino al dessert. Oggi chef del ristorante Galleria di Cefalù, proviene da esperienze all’estero e in Italia, ma è tornato in Sicilia con un obiettivo preciso: valorizzare la sua terra tramite quello che sa fare meglio, cucinare.
Perché hai deciso di diventare uno chef?
«Nella mia famiglia nessuno ha mai fatto questo mestiere, io sono stato il primo. Ho frequentato l’istituto alberghiero di Cefalù e durante la scuola, per brevi stagioni, ho fatto una bella esperienza all’Hotel Costa Verde di Cefalù, dove ho appreso molto sull’organizzazione e la pianificazione dei banchetti. Successivamente ho studiato a Brescia, ho fatto delle esperienze all’estero, a Francoforte e a Londra, esperienze che mi hanno permesso di sostenere i miei studi a Brescia, all’istituto Cast Alimenti, un’accademia di arti culinarie che comprende sia la parte della cucina sia la parte della pasticceria. Io in particolare ho seguito il percorso completo di un anno, comprensivo di stage di pasticceria in cui ho affinato le tecniche che vanno dalla panificazione al dessert finale, fino alla piccola pasticceria».
Come mai sei tornato in Sicilia e com’è stato l’impatto nel rientrare dopo aver fatto tutte queste esperienze?
«Sono tornato in Sicilia, perché secondo me il richiamo è forte. La mia missione, se così possiamo definirla, è valorizzare quello che abbiamo qui. Se tutti noi giovani tendiamo ad evadere da questo territorio, non rimane più nulla, rimangono gli anziani che hanno già dato il loro contributo a questo paese. Noi giovani dobbiamo ancora poter dare il massimo e mi piaceva l’idea di poterlo fare nella mia terra».
Professionalmente ti definisci più pasticcere o più cuoco?
«Io sono un pasticcere di professione, ma cuoco per vocazione. La pratica e lo studio mi hanno fatto acquisire quelle tecniche che mi hanno portato fin qui. Oggi un cuoco, e io mi definisco un cuoco moderno, deve essere completo a 360 gradi, non esiste più la vecchia concezione degli chef o dei cuochi capo partita con mansioni prestabilite. Ormai la brigata si è compattata, ridotta, spesso purtroppo per motivi economici, per cui uno chef deve essere completo».
Cosa non deve mai mancare nella tua cucina?
«Avendo scelto di ritornare in Sicilia, non devono mancare i prodotti del territorio. Abbiamo la fortuna di avere dei presidi Slow Food e non posso proprio farne a meno. Se dovessi citarne alcuni: il gambero rosso di Mazara e il cioccolato fondente di Modica».
In che direzione sta andando la cucina? Qual è il giusto compromesso tra la cucina tradizionale e quello che vediamo in tv nei reality?
«A Cefalù si sta assistendo ad una grande crescita a livello professionale, grazie anche a giovani imprenditori che credono nel proprio territorio e lo valorizzano. A livello nazionale siamo i capostipiti della dieta mediterranea, cosa che ci invidiano in molti. Penso che la cucina abbia fatto un netto passo in avanti anche perché bisogna adattarla agli stili di vita contemporanei, spesso molto frenetici. C’è molta più cultura rispetto agli anni passati: la cucina si è evoluta in maniera molto positiva, al rispetto della materia prima ormai tutti prestano molta attenzione».
Quanto sono oggi attenti i clienti stranieri a questi aspetti?
«Molto attenti, anche perché si deve sfatare questo mito che gli stranieri non hanno la cultura culinaria che abbiamo noi, al contrario sono molto più all’avanguardia rispetto alcune parti d’Italia».
Tre qualità che ogni chef dovrebbe avere.
«Spirito di adattamento, perché ogni realtà ha la sua storia e la sua filosofia, e il cuoco professionista deve saper adattarsi alle esigenze dell’azienda in cui opera. Ovviamente curiosità perché uno chef, un ragazzo che si sta approcciando a questo lavoro deve essere curioso per poter crescere in maniera corretta. La terza potrebbe essere dedizione, perché è importante a volte fare dei sacrifici a livello personale, concentrarsi sui propri obiettivi. I miei genitori e i professionisti con cui ho collaborato mi hanno insegnato che solamente avendo un obiettivo si può crescere in maniera positiva».
Tu sei online, tra Facebook e Linkedin, e al tuo nome viene associato spesso l’hashtag #Nutrireisensi. Che significa?
«Nasce tutto nel 2015, durante la prima stagione al Cortile Pepe, dove ho diretto per la prima volta una brigata. “Nutrire i sensi” nasce dal modo in cui io intendo la cucina: un cliente che si siede al tavolo deve vivere un’esperienza che appaghi tutti i sensi. Con un mio piatto intendo nutrire i sensi con il cibo. Un piatto deve essere bello, quindi appaga gli occhi; buono, quindi appaga il palato, deve avere tante consistenze e appagare il tatto, tramite il palato o toccando il cibo, e poi deve avere dei suoni per appagare l’udito».
Hai due piatti preferiti. Uno più “istituzionale” che ci caratterizza come italiani…
«Quello nazionale è la pizza, che sta avendo una crescita esponenziale sia a livello professionale sia a livello etico. La pizza non è più quella suola di scarpa che si conosceva negli anni ottanta, ma ha tante varianti: quella gourmet, quella con i grani antichi che possono essere siciliani, abruzzesi, lombardi, per poi arrivare alle varie caratteristiche in base alle regioni in cui si trova, quindi pizza alla romana, napoletana, alla veneta. La pizza la vedo come, paragonandola alla cucina, un piatto su cui disporre delle materie prime che devono necessariamente essere lavorate da un bravo chef pizzaiolo».
L’altro piatto preferito, lo prepari spesso per il ristorante Galleria.
«È la nostra rivisitazione della “pasta a taiano”. Alla Galleria ne proponiamo due varianti: quella classica con una salsa a base di carne mista, maiale e vitello, cotta a bassa temperatura, si sfilaccia la carne e si fa brasare in un sugo di pomodoro molto concentrato e molto profumato con basilico, va adagiato una crema di pecorino, inteso come una fonduta, impreziosito con del pane croccante spadellato che ti dà quella nota piacevole in bocca. L’altra variante è concentrata: abbiamo unito due piatti siciliani in un unico, un arancino con l’anelletto mantecato con questo sugo cefaludese, adagiato sul piacentino ennese, che è anche un vanto per noi siciliani. Il mio piatto preferito della Galleria è questo, anche perché è molto sapido, succulento e croccante al tempo stesso. È molto apprezzato dai clienti stranieri perché è davvero insolito trovare la pasta a taiano in un arancino.