CHEF E RICETTE
Aldo Iannarella
Tanta esperienza sul campo, una sincera passione per la cucina che lui stesso definisce parte del suo Dna: nato in Campania, il cuoco Aldo Iannarella vive in Sicilia, proviene quindi da due terre in cui è forte il legame con l’arte culinaria e la gastronomia, portandosi dietro un bagaglio “naturale” e culturale imprescindibile.
A soli 25 anni lavora oggi in una cucina tutta sua, quella di Passafiume Cantina Bistrot, dove sperimenta sapori locali in unione a specialità e tecniche internazionali, nella convinzione che la cucina debba mantenere il suo legame con i prodotti locali con uno sguardo rivolto al resto del mondo.
Partiamo un po’ dalla tua esperienza, da quando hai deciso di fare lo chef e quando ti sei reso conto della passione per il mondo della cucina. Partiamo dalle origini.
«Ho deciso quando ero piccolo, ma ho intrapreso questa strada circa quattro anni fa, perché prima facevo tutt’altro nella vita. Ho fatto lo scientifico, quindi tutto l’opposto. Nasco in Campania, ma radicato in Sicilia, quindi due terre che a livello culinario sono molto forti in Italia. L’amore per la cucina doveva nascere necessariamente. Prima esperienza al Cortile Pepe a Cefalù da Toti Fiduccia, in seguito al Ristorante Galleria ho affinato le mie tecniche insieme al mio amico Antonio Di Maggio. Quest’anno ci troviamo al Passafiume Cantina Bistrot, per la prima volta sono io a dirigere la mia cucina».
Oggi da chef come porti avanti questo carico di responsabilità?
«Arrivo molto presto per organizzare tutto a partire dal magazzino. Mi piace definirmi cuoco e non “chef”. La mia cucina è perfetta, immacolata, dalla cura del dettaglio nell’impiattamento alla materia prima da non trascurare».
Il tuo rapporto con i prodotti locali, quali sono le tue preferenze?
«Ho delle preferenze per la frutta, la verdura, gli agrumi. Siamo in Sicilia perché non acquistare quindi un buon limone locale, una buona arancia, un mandarino. Ma non mi limito alla cucina locale: ci sono anche prodotti esteri che vanno valutati e interpretati in una certa maniera, rivisitati con qualche abbinamento locale. Un compromesso tra i prodotti locali, nella loro, diversità e stagionalità, in unione però a elementi internazionali. Nel menu abbiamo per esempio il baccalà e ceci col pomodorino confìt. Il baccalà proviene del Mare del Nord mentre il pomodorino è un prodotto locale, di Pachino, leggermente cotto al forno, appassito con zucchero e sale e messo con del timo e limone nel piatto».
Molti vegani dicono che la cucina italiana è una delle più facili per chi fa una scelta di questo tipo, che si trovano molti prodotti grazie alle materie prime come gli ortaggi. Qual è il tuo rapporto con questa realtà?
«Un ottimo rapporto. Nel nostro menu, per esempio, puoi trovare alcune pietanze vegane a partire dal gaspacho che consiste nel far macerare peperoni, pomodoro, cipolla rossa, zucchero, sale, ma io metto anche un po’ di mela verde. Poi del basilico al centro, del polpo locale prima sbollentato e poi piastrato. Abbiamo avuto un riscontro positivo, è un piatto che va molto in questo locale».
Ogni piatto segue anche la stagione. Qual è il piatto che prepareresti adesso?
«Al momento preparerei un bucatino, estratto di gambero rosso, favette e burrata. È un piatto che va capito, perché è molto forte. C’è l’estratto di gambero rosso, c’è il contrasto della favetta che ti va a pulire un po’ il palato, il limone. Piace però va interpretato, va capito».
Qual è invece il piatto che scelgono più spesso gli stranieri?
«Scelgono spesso la carne. In menu, per esempio, abbiamo il filetto di maialino cotto a bassa temperatura, glassato con un fondo che prepariamo noi, una salsa di peperoni e delle patate con la buccia cotte al forno. Proponiamo spesso anche un bel dessert al bicchiere. Panna cotta e lamponi con del crumble salato al cacao e della mentuccia sopra che va a simboleggiare un po’ i germoglietti che nascono da questo terriccio nero, quindi dal cacao, segno di rinascita, di prosperità».
La tua formazione è anche tutta frutto di lavoro sul campo, hai pensato di fare anche un po’ di formazione?
«Ho fatto una bella esperienza da Paolo Barrale, chef stellato Michelin, al ristorante Marennà, che si trova all’interno dell’azienda vitivinicola Feudi San Gregorio a Sorbo Serpico. Esperienza dura ma formativa. Lavorare con dieci persone in cucina non è facile, ognuno ha un suo settore, i suoi coltelli».
Ti stai avvicinando alla prima stagione estiva, la prima per Passafiume. Il locale è aperto da pochi mesi e la cucina si è andata attivando e completando sempre di più. Come ti senti nei confronti di una stagione che sarà dura?
«Mi sento pronto, preparato, abbiamo un nuovo menu composto da quattro antipasti, quattro primi e quattro dessert. Alla lavagna abbiamo degli stuzzichini da servire durante l’aperitivo, a partire dal tagliere con i formaggi locali, il coppo di fritto, il tris di burger che facciamo noi».
La tua idea di cucina è quella di conciliare i nostri prodotti tipici con i prodotti internazionali, rapportandosi con una clientela estera. Mi ha colpito l’hummus, è un alimento molto particolare, difficile da reperire e associare. Come mai questa scelta?
«Ci siamo un po’ affacciati al territorio orientale, libanese per essere più precisi. Ci è piaciuto farlo, con ceci, cumino, aglio senza anima, qualche goccia di limone, sale e pepe. Sempre accompagnato dal pane carasau, pane sardo, che ci sta bene. Un’accoppiata particolare».
Alla luce di questo connubio fra una cucina tradizionale e un occhio a quella che è la parte internazionale, come vedi l’evoluzione della cucina? Dove stiamo andando, seguendo un po’ le tendenze e le mode del momento?
«Ci stiamo svegliando. Ci stiamo dando da fare, specialmente al sud dove si è molto attaccati al territorio e ai prodotti locali, ci stiamo mettendo più del dovuto ma ci stiamo arrivando. Stiamo uscendo un po’ dalla cosiddetta “cucina della nonna”, stiamo uscendo dagli schemi. Ci affacciamo più ad una cucina tecnica fatta di temperature, stabilizzare una salsa, tenere vivo il colore di una verdura, di un carciofo, dei piselli, delle fave. Ci stiamo arrivando e ci sto arrivando pure io. Perché sei naturalmente portato a fare quella cucina della nonna. Il turista viene e vuole mangiare quella cucina locale però pian piano, proponendo un piatto più particolare, con concetti di cottura diversi, abbinamenti diversi, riesci a coccolare il tuo cliente».
Qual è il piatto che rispecchia la tua personalità, quello che consiglieresti?
«Forse il polpo gaspacho di cui parlavamo pocanzi. Sì, è vero, si fa in Spagna, ma lo abbiamo rimodernato con i prodotti siciliani come il pomodoro. Poi c’è il polpo che è un culto in Campania, lo vendiamo in queste grosse pentole con il polpo bollito nella sua acquetta. Una volta mangiato il polpo, beviamo quest’acqua che è molto saporita, sapida, sa molto di mare, di scogli, di roccia. È un un’unione».
Descrivimi la cucina di Passafiume, la tua cucina, con due aggettivi
«Fresca e genuina».