RISTORANTI
Le Chat Noir
La cucina è una cosa facile, basta avere tre elementi fondamenti: passione, qualità e materia prima.
La storia del Gatto Nero, Le Chat Noir, inizia negli anni ‘Novanta in via Carlo Bordonaro a Cefalù dalla passione della famiglia Natoli che nel tempo ha trasformato una semplice panineria in quello che oggi è il ristorante. Il perché del nome è semplice e intuitivo come la sua cucina che si basa su scelte genuine, con prodotti del territorio siciliano.
Partiamo dall’inizio, perché “Gatto Nero”?
«Il Gatto Nero è nato in via Carlo Bordonaro. Affacciandosi su quella via, sulla scogliera, c’erano un sacco di gatti neri, da qui il nome del locale. Abbiamo iniziato negli anni Novanta come panineria, mio papà faceva due o tre spaghettate solo per gli amici, anche perché la nostra famiglia non era specializzata, non era del settore. Tutto è nato più dalla passione che dalla formazione o dalla vera e propria esperienza. Da lì però abbiamo gettato le basi per arrivare fino a qui. Negli anni 2000 ci siamo spostati in un vecchio locale abbandonato, del Cinquecento, che negli anni Sessanta era stato una sala da ballo».
Com’è organizzato il locale? Quante persone può accogliere?
«Abbiamo fatto noi stessi i lavori di ristrutturazione, si è impegnata tutta la famiglia. Così oggi abbiamo 104 posti a sedere, inclusa la parte esterna. C’è la novità della “Cantina“, con cui cercheremo di dare un servizio in più e un’esperienza esclusiva di una cena gourmet, esclusivamente su prenotazione. Nella “Cantina” del Gatto Nero si ha la possibilità di fare domande direttamente al maître, di parlare di spumanti, vini, e commentare con lo chef le ricette e il menu. Ci aspettiamo un pubblico appassionato, curioso. Cercavamo qualcosa che ci stimolasse, e quindi ecco l’idea della”Cantina“».
Quali sono gli elementi caratterizzanti della vostra cucina?
«La cucina è qualcosa di facile, basta avere tre elementi fondamentali: passione, qualità e la materia prima. Così c’è tutto. Non bisogna cercare cose troppo particolari, bisogna lavorare con i prodotti del territorio, quelli siciliani. È un peccato lavorare con prodotti che non ci appartengono».
Qualche anno fa, nel 2015, avete ricevuto un riconoscimento che è l’equivalente occidentale della Guida Michelin da parte della piattaforma di valutazione orientale Top Choice. Un bel riconoscimento come ristorante “top”…
«È l’equivalente delle 3 forchette Michelin. Sono venuti tre giudici, senza farsi riconoscere. Hanno mandato le varie foto e hanno comunicato di averci assegnato questo riconoscimento, come premio per la nostra cucina. Dal 2015, in effetti, abbiamo incrementato circa del 40% la clientela asiatica. Quasi tutti gli asiatici si orientano più sul gambero rosso, sulla pasta con le sarde, più sul pesce che su altro, la carne proprio non la considerano; poi sulle materie prime semplici, come la frittura di alici e di sarde, piatti semplici ma gustosi, come gli involtini di pesce spada. I giapponesi hanno una bella cultura sul pesce, quindi quando vengono è un piacere perché hanno proprio la cultura del mangiare, ti chiedono come e perché è stato fatto un piatto. È una bella clientela».
La cucina italiana è conosciuta anche all’estero, ma può essere definita solo come una copia. Con un cliente che non ha avuto esperienza della vera cucina italiana, cosa consigliereste?
«Non la pasta con le sarde, per esempio, perché ha dei sapori molto forti. Consiglierei una semplice casereccia con la zucchina del mio orto, con pomodorino e ricotta salata di Buccheri, un paesino in provincia di Siracusa, fatto da un’azienda a gestione familiare. Un piatto leggero, con i sapori nostri. O una buccherese, il mio piatto preferito, con il paté di olive fatto in casa, pomodoro fresco, acciughine salate d’aspra e il parmigiano, tutto ben spadellato. Ovviamente non tocchiamo né burro né panna, c’è un divieto in cucina categorico, usiamo le regine: aglio, cipolla e olio extravergine».